E’ arrivato il giorno dei saluti per alcuni di noi. Alberto, aveva già in programma di tornare a casa prima dell’infortunio. Gabriella e Mauro ci salutano tornando in valle in bicicletta. A loro un in bocca al lupo e buona strada. E grazie per aver condiviso con noi le fatiche. Marina e Carla invece riportano il camper alla base (con i miei pantaloncini da bici sopra, perché son distratto, ma questa è un’altra storia). Con loro va via metà della parte logistica e mi vien da pensare che senza di loro regnerà in noi uno sconforto e una disorganizzazione notevole, ma a loro va un grazie speciale.
Sveglia presto perché oggi è la prima giornata dove la maggior parte dei kilometri non verranno guadagnati pedalando, ma in treno. D’ora in poi le tappe del viaggio saranno affrontate per una parte pedalando e l’altra utilizzando i mezzi, caricando le bici sul furgone.
Prendiamo il treno da Castelfranco Emilia stranamente in orario. Nei giorni passati abbiamo oramai inquadrato i personaggi recidivi al ritardo oppure, ancora peggio, refrattari a regole logistiche. Oramai ci marchiamo a vista al punto tale da portare per la manina la gente a obliterare il biglietto, così, per non sbagliare. Primo cambio ad Ancona e siamo diretti a Matelica fermandoci prima a SanSeverino Marche. Il sapore della provincia ci assale appena toccata la banchina della stazione rimanendo imbambolati e increduli sul metodo dell’attraversare i binari, ancora alla moda vecchia., ma i ragazzi che scendono con noi dal treno non sono stupiti.
Risaliamo in bici e ci dirigiamo verso Matelica, sulla strada per Fabriano. l’amiente che ci circonda è totalmente diverso rispetto la pianura Padana oramai lasciata alle spalle. Le colline verdi regnano sul paesaggio e le costruzioni hanno una struttura diversa. Pedaliamo per un po’ di chilometri affrontando per la prima volta delle lievi salite, ma reggiamo il colpo. Oramai siamo allenati. Oggi la strada è poca e siamo molto rapidi. In poco tempo ci troviamo a Matelica, scortati dagli amici che ci ospitano.
Svoltando ad un semplice incrocio sulla statale, in poco tempo ci troviamo nel mezzo della campagna, nella natura immensa.
Siamo ospiti di una riunione collettiva che unisce varie realtà sociali nelle Marche come i comitati contro la Pedemontana, Legambiente, Lac Marche e Terre in Moto.
E’ una zona particolare delle Marche, assalita dal terremoto pochi anni fa e da quarant’anni viene coinvolta nei progetti della costruzione della bretella pedemontana. Parliamo con Claudia del Comitato Pedemontana Matelica che ci racconta dal principio le ragioni del progetto e le criticità odierne. Si parla degli arbori del “modello Marchigiano”, un periodo di splendore dal punto di vista industriale, dove le aziende godevano di buona salute finanziaria. Al fine di alleggerire il carico stradale dovuto ai mezzi pesanti diretti alle aziende del luogo, si ideò un’arteria compresa tra le statali 76 e 77 necessaria a ridurre l’afflusso dei tir. Il denaro per la realizzazione sarebbe dovuto essere ricavato da un autofinanziamento chiamato “cattura valore” dove si sarebbe chiesto agli imprenditori interessati allo sfruttamento della pedemontana di investire nell’opera. Un’opera che da quarant’anni è solamente progetto, ma con dei soldi già investiti negli espropri. Dalla crisi sistemica del 2008 le ragioni dell’opera vennero a meno, con la chiusura di almeno 1300 aziende nelle Marche facendo cadere il modello economico così adulato. La chiusura di grandi aziende non giustifica più i flussi di traffico previsti. Ciò nonostante l’opera continua ad essere nella bocca dei politici e i finanziamenti oramai non più ricavabili dal sistema di autofinanziamento bensì da detrazione irpef, ici imu, soldi diretti dei contribuenti. Il comitato provò ad interrogare ripetute volte le amministrazioni per sapere le ragioni dell’opera, ma giustificandola come via di fuga per terremoti senza tenere conto di una messa a norma delle strade esistenti.
Uno dei motivi più sensibili dal fronte del no all’opera è la deturpazione del territorio che lavori porterebbero. Ci troviamo in un casolare, un’azienda avvolta da vitigni e grano. Un ambiente bucolico veramente suggestivo nel quale consumiamo del cibo e del vino proveniente direttamente da quelle terre. Le foto parlano da sole. La pedemontana prevede di annientare tutto quello splendore senza interpellare il popolo.
Parlando con Federico di Terre in Moto la poca risonanza del No alla Pedemontana è legata al terremoto per un motivo sociale. L’emergenza ha portato un’attenzione mediatica che però svanisce appena le grandi scosse terminano. In realtà la terra continua a tremare e la gestione del territorio è affidata agli organi responsabili alla gestione delle emergenze che non tengono conto del parere del popolo, costruendo in maniera molto spesso errata, senza controlli delle aziende costruttrici dal punto di vista del lavoro e delle regole antimafia. Inoltre il ritardo della ricostruzione ha portato ad una vera “deportazione” verso le coste dove molte famiglie hanno dovuto re-inventarsi una vita abbandonando le origini dell’entroterra e sfoltendo rete sociale esistente. E’ importante per questi comitati infoltire nuovamente la socialità, la convivialità e riconquistare la decisione popolare.
L’ospitalità non manca. Ci ritroviamo avvolti nel cibo. Pecorino, salame, pane e fave (molti di noi non hanno mai mangiato le fave crude e questa è un esperienza nuova). Inoltre condividiamo le esperienze. Ci sentiamo veramente ricaricati di questa gente che dal basso, come noi, sta provando a emergere per far sentire la propria voce.
Il casolare rimane in vita nonostante l’arrivo del buio. La temperatura è così piacevole da farci socializzare ininterrottamente per ore, andando a goderci alla fine il meritato riposo.